Sant’Eufemia, 29 agosto, il Partito repubblicano con il segretario Nucara ha ricordato la Battaglia d’Aspromonte: Garibaldi sbarcò in Calabria/L’intervento di Mazzini, all’inizio non convinto dell’iniziativa, in favore del Generale: "La Nazione intera è ferita e prigioniera con lui". In seguito un’amnistia rese la libertà all’eroe

Dal Risorgimento ad oggi: gli obiettivi dell’Edera sono validi nell’Italia dei nostri giorni

Intervento in occasione della ricorrenza del ferimento di Garibaldi nella Battaglia d’Aspromonte del 29 agosto 1862. Il Partito repubblicano si è riunito, nel 148esimo anniversario dell’evento, presso Sant’Eufemia.

di Francesco Nucara

Oggi siamo riuniti idealmente sotto il pino dove si rifugiò Garibaldi quando fu ferito il 29 agosto del 1862. Non siamo dei nostalgici, anche se amiamo incondizionatamente la storia del nostro Risorgimento, prima di tutto repubblicano. E per capire i problemi di oggi bisogna risalire alle loro origini e alle motivazioni che hanno portato all’Unità d’Italia. Quell’Unità che qualche buontempone oggi vorrebbe di-sintegrare. E proprio la data del 29 agosto è per noi repubblicani molto significativa, e in seguito diremo perché.

Roma capitale

Vittorio Emanuele II venne proclamato re d’Italia il 17 marzo del 1861. Il 27 marzo dello stesso anno Cavour tenne un appassionato discorso al Parlamento Regio, concludendo che l’Unità d’Italia non sarebbe stata completata fin quando Roma non fosse stata riconosciuta capitale d’Italia. Ma Cavour non aveva fatto i conti con papa Pio IX, che voleva fortemente mantenere il potere temporale della Chiesa - Stato, in ciò sostenuto da Napoleone III e dalle truppe francesi. Garibaldi, convinto – dopo il discorso di Cavour (che nel frattempo era deceduto) – che fosse arrivata l’ora di completare l’Unità d’Italia, pensò di replicare la spedizione dei Mille del 1860, procedendo con lo stesso schema alla conquista di Roma. Non aveva però tenuto conto del "protettorato" francese sul Papa e purtroppo aveva dimenticato l’onta della sconfitta sulle pendici del Gianicolo nel 1849, durante la breve, anche se entusiasmante, esperienza della Repubblica Romana. Anche in quest’ultimo caso il papa venne difeso dalle truppe francesi agli ordini del generale Oudinot, e la Repubblica ebbe rapidamente fine. Garibaldi tuttavia era convinto che quella fosse l’occasione buona per porre fine al potere temporale, confidando nella neutralità di Napoleone III, e comunque sicuro di non essere osteggiato dalle truppe di Vittorio Emanuele II. Conquistare Roma sarebbe stata quasi una passeggiata, come almeno all’inizio era sembrato dopo lo sbarco a Marsala (di nuovo) e l’attraversamento della Sicilia. Non aveva però fatto i conti con la pavidità e le necessità dei Savoia, che per vari motivi non avevano mezzi e quindi non potevano aprire un conflitto con la Francia. Vittorio Emanuele adottò quindi una strategia militare per fermare l’impresa garibaldina, non volendo scontentare i francesi che egli considerava "i nostri migliori alleati".

I fratelli italiani

Ma Garibaldi riuscì comunque a sbarcare in Calabria, evadendo la stretta sorveglianza della Marina Regia. Lo sbarco avvenne pressappoco nello stesso punto dove erano sbarcati i Mille. I volontari si dirigevano verso Reggio Calabria quando furono accolti a fucilate dalle truppe savoiarde. Garibaldi, che non voleva combattere contro i "fratelli italiani", cambiò percorso dirigendosi verso l’Aspromonte.

La sera del 28 agosto giunse in prossimità di Gambarie, in una località sita nel comune di S. Eufemia d’Aspromonte, attestando le truppe dei volontari in assetto di combattimento, sperando però che combattimento non sarebbe stato.

Purtroppo nel pomeriggio del 29 agosto avvenne lo scontro a fuoco. Garibaldi ordinò ai suoi il cessate il fuoco ma le truppe regie avevano ricevuto l’ordine di arrestarlo e proseguirono nello scontro, ferendo il generale in modo lieve ad una coscia e più seriamente ad un malleolo.

Quest’ultima ferita lo fece penare molto fino a quando, a Pisa, un professore francese, Nélaton, dopo vari tentativi, non estrasse la pallottola che si era conficcata nell’arto inferiore.

Mazzini non era convinto della bontà dell’iniziativa garibaldina, ben conoscendo l’ambiguità di casa Savoia. Ma, dopo quello che considerava il tradimento sabaudo, l’apostolo genovese promosse manifestazioni in tutta Europa per la liberazione del patriota recluso, artefice dell’Unità d’Italia. Scrisse tra l’altro una lettera ai membri del Governo che così recitava: "Garibaldi ha combattuto tutte le battaglie dell’Unità d’Italia. Garibaldi ha dato a questa Unità dieci milioni di cittadini. Garibaldi è il simbolo vivente del voto dell’intera nazione. La sua ferita lo colse mentre muoveva non contro di voi, ma verso terre sulle quali vive, proclamato da voi e negato dallo straniero, il Diritto italiano non per sovvertire l’ordine dello Stato e combattere il vostro programma, ma per compiere l’uno e l’altro. Voi potete, Signori, giudicare prematuro, non colpevole quel fatto invocato da tutta l’Italia: potete impedire non punire chi lo tentava. L’Italia intera è ferita e prigioniera con lui". Un’amnistia a seguito di un lieto evento nella casa regnante restituì la libertà a Garibaldi.

Unità e federalismo

Nella nostra storia risorgimentale furono vive diverse posizioni, anche nel mondo repubblicano (una tradizione che è rimasta salda anche negli anni della Costituente): per esempio quella di Mazzini, che aveva una visone unitaria, e quella di Cattaneo, convinto federalista. Due posizioni che in realtà non sono contrastanti. Per Cattaneo il federalismo doveva esistere nell’Unità della Nazione: federalismo è il contrario di egoismo, è solidarietà.

E bene hanno interpretato questo concetto, come ricordavamo sopra, i costituenti repubblicani, che nella seduta del 4 dicembre 1947 proponevano un ordine del giorno a firma Conti, Zuccarini ed altri, così concepito: "L’Assemblea Costituente, ritenendo che per assicurare lo sviluppo delle Regioni del Mezzogiorno e delle Isole e per ridurre la loro attuale inferiorità in confronto delle Regioni più progredite debba essere assicurata l’esecuzione sollecita delle opere pubbliche già previste dalle leggi speciali come di altre ritenute necessarie; afferma il dovere dello Stato di provvedervi con stanziamenti di carattere straordinario nei bilanci annuali e con precedenza su tutte le opere con carattere nazionale da deliberare con il concorso di un comitato di rappresentanti delle Regioni". E noi, oggi, riproporremo quest’ordine del giorno alla prima occasione: poiché dal 1947 ad oggi nulla è cambiato. Se ne faccia portavoce presso il Presidente del Consiglio lo stesso Presidente della Regione Calabria.

Una storia importante

Tornando ai fatti d’Aspromonte, la storia garibaldina che abbiamo raccontato non è ovviamente la sola impresa risorgimentale fallita, ma questa è particolarmente significativa, come dicevo, per i repubblicani calabresi e reggini. Possiamo affermare con sicurezza che il fondatore e l’organizzatore del PRI in Calabria sia stato Francesco Antonio Leuzzi di Delianova, cittadina distante qualche chilometro dal luogo del ferimento. La storia personale di Leuzzi si svolge in un intreccio tra massoneria e repubblicanesimo. Infatti il Leuzzi, studente di medicina a Napoli, era solito frequentare le lezioni di giurisprudenza di Giovanni Bovio, grande repubblicano e massone. Sempre in riferimento alla massoneria, è doveroso ricordare pure che Giuseppe Garibaldi fu il primo Gran Maestro della massoneria italiana. Quindi il 29 agosto diventa una pietra miliare nell’opera di proselitismo del Leuzzi, che aveva costituito a Delianova la prima loggia massonica con il nome di "XXIX agosto". Egli all’inizio del ‘900 convocava a Gioia Tauro il congresso costituente del Partito repubblicano calabrese, che poi, per dissidi interni, si celebrerà a Reggio Calabria il 29 ottobre, anche con la partecipazione di operai romagnoli che si trovavano a Reggio per lavoro.

Sotto il fascismo

Ma c’è di più. Il Leuzzi fu tra i dodici professori universitari che per non giurare fedeltà al fascismo persero la cattedra. Leuzzi perse quella di Medicina a Bologna e a Napoli. Fece ritorno nella sua amata terra natia, dedicandosi a studi multidisciplinari che magari poco avevano a che fare con i suoi insegnamenti universitari. E ci ritrovammo in seguito con professori antifascisti che avevano sottoscritto la loro fedeltà al fascismo. Anche un altro illustre repubblicano calabrese, Francesco Perri, che fu direttore della "Voce Repubblicana" nell’immediato dopoguerra, perse il posto di lavoro per la sua battaglia antifascista.

Data storica

29 agosto: oggi noi accoppiamo questa data storica con la nascita del Partito Repubblicano calabrese; continueremo con molte altre manifestazioni il prossimo anno per le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia.

Dianzi vi ho descritto di che pasta erano fatti i repubblicani e di che pasta sono fatti quanti credono nell’avventura repubblicana, che non si esaurisce certo nell’avere una tessera con l’Edera in tasca. Dovranno impararlo i politici calabresi e non solo loro. Se continuiamo ad esistere e combattere dopo due secoli (il simbolo dell’Edera è del 1834) è solo per la forza delle nostre idee, spesso – troppo spesso – anticipatrici del futuro della collettività in cui viviamo. E per esse dobbiamo essere disposti a tutto. Vale sempre – e mi piace spesso ricordarlo – ciò che il principe Metternich, l’uomo più potente d’Europa nel corso dell’800, disse di Mazzini: "Ebbi a lottare contro il più grande dei soldati, giunsi a mettere d’accordo imperatori e re, zar, un sultano, un papa, principati e repubbliche, avviluppai e sciolsi venti intrighi di corte, ma nessuno mi diede maggiori fastidi al mondo di un brigante d’italiano, magro, pallido, cencioso, ma eloquente come la tempesta, ardente come un apostolo, astuto come un ladro, disinvolto come un commediante, infaticabile come un innamorato, il quale ha nome Giuseppe Mazzini". E’ una citazione che ho utilizzato altre volte, ma questa occasione forse è la più consona di tutte.

La lezione mazziniana

Cari amici politici reggini, calabresi, italiani, è grazie alla lezione mazziniana di tenacia, responsabilità e solidarietà, che il PRI può dirsi tuttora fiero di aver operato e di operare sempre e prima di tutto per la libertà dei cittadini. Questo non ha nulla a che fare con la politica politicante. La libertà dei cittadini per i repubblicani è una scelta morale assoluta, la premessa fondante di ogni programma e il senso ultimo della nostra azione politica.